Una sentenza che vuol rendere più chiaro quell’universo ancora giuridicamente inesplorato rappresentato dal cyberspazio, internet. Tutto nasce da un conflitto di competenza che palesa la difficile collocazioni dei confini territoriali nel mondo virtuale di internet. L’oggetto della questione sono i reati contestati ad un impiegata della motorizzazione civile di Napoli, MR, ed a GS amministratore di un’agenzia di pratiche automobilistiche.
La Procura della Repubblica di Napoli, infatti, ha contestato l’effettuazione di un accesso abusivo nel sistema del Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, in concorso tra i due soggetti, con scopi che esulavano l’ambito lavorativo della MR, favorendo gli interessi esclusivi di GS.
L’accesso effettuato dalla MR avveniva in un territorio diverso rispetto a quello del server del Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, dove era ubicata la banca dati della Motorizzazione civile.
I confini giuridicamente labili del territorio internettiano hanno fatto si che la questione arrivasse in Corte di Cassazione al fine di risolvere un conflitto di competenza territoriale nato tra il Gup di Napoli, territorio da dove avveniva l’accesso ai dati, e il Gup di Roma, territorio in cui era allocato il server in questione.
In realtà, nella sentenza n. 40303 del 27/05/2013, la Cassazione si era già espressa stabilendo che la competenza fosse da individuarsi presso il giudice del luogo in cui era allocato il server, causa violazione del domicilio informatico.
Secondo l’articolo 615-ter c.p. questa norma era stata già inserita nel codice penale, secondo il criterio dell’attribuzione di un luogo ideale da assegnare ai contenuti informatici della persona che risulta titolare, al fine di proteggere la privacy e la proprietà degli stessi.
Nel nuovo caso in esame la Corte di Cassazione ha deciso di far definitivamente chiarezza tra accesso e permanenza nel server altrui, distinguendo le due nozioni al fine di integrare il reato previsto dalla norma penale. Per imputare ad un soggetto l’accesso abusivo ad un sistema informatico risulta indispensabile la mera introduzione all’interno di esso (che avveniva a Napoli) senza l’obbligatorietà di un conseguente verificarsi di tangibili lesioni del diritto di riservatezza di dati personali. Proprio per questa motivazione l’utilizzo stesso dei dati personali implicherebbe l’aggiunta di una diversa fattispecie di reato. Di conseguenza la Corte di Cassazione ha deciso di indicare la competenza del giudice del luogo in cui il soggetto o i soggetti, in questo caso specifico, effettuano l’accesso al server, a prescindere dal luogo in cui sia ubicato.