Tra controversie, procedure e semplici consulenze, uno dei casi che mi capita di seguire con più frequenza è quello di due competitor di cui uno utilizza il marchio dell’altro come keyword in una campagna AdWords.
Sia chiaro: Google nei suoi regolamenti consente questa prassi, richiedendo solo che il marchio del concorrente non venga utilizzato all’interno dell’annuncio. Tuttavia, il fatto che a Mountain View abbiano deciso di permettere (sebbene con la suddetta limitazione) l’utilizzo del nome altrui, non vuol dire che questo tipo di attività si possa sempre fare. Google ha semplicemente deciso di non intromettersi in queste dispute, tirandosene giustamente fuori e non presumendo di sostituirsi ai giudici nel valutare quando e se tali condotte siano lecite.
In realtà, analizzando la normativa e la giurisprudenza, appare evidente che chi utilizza il nome o il marchio del competitor per attivare un annuncio su AdWords, rischia concretamente di compiere un atto di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. esponendosi così ad eventuali azioni giudiziarie ed a richieste di risarcimento del danno da parte dei titolari legittimati.
Tuttavia, possiamo affermare con certezza che esistono delle forme ben precise di predisposizione delle campagne e degli annunci che consentono di inserire come chiave di ricerca il nome o il marchio del competitor senza che quest’ultimo possa contestare alcunché.
In particolare è la Corte di Giustizia Europea che, avendo emesso le sentenze più importanti e significative sulla materia, ha stabilito, di fatto, le regole che a noi interessano per l’applicazione della tutela dei segni distintivi su AdWords.
Secondo la Corte, la liceità o meno di un annuncio AdWords dipende esclusivamente dal modo in cui tale annuncio è presentato. Infatti, sussiste violazione della normativa quando l’annuncio non consente (o consente soltanto difficilmente) all’utente di Internet “normalmente informato e ragionevolmente attento” di capire se i prodotti o i servizi a cui l’annuncio si riferisce provengano dal titolare del marchio oppure, al contrario, da un terzo.
Gli annunci vanno dunque studiati in modo che non vi sia dubbio sull’identità dell’inserzionista considerando inoltre che, secondo quanto espressamente stabilito dalla giurisprudenza, l’annuncio è illegittimo anche se resta vago sull’azienda a cui esso si riferisce, poiché, così facendo, un utente di Internet “normalmente informato e ragionevolmente attento” non è messo in grado di capire, sulla base del link promozionale e del messaggio commerciale, se l’inserzionista sia un terzo rispetto al titolare del marchio.
In conclusione, per rendere legittimo un annuncio attivato con keyword corrispondente al nome del competitor, nell’annuncio dovrà apparire evidente che non si tratta del competitor.
Se io volessi attivare i miei annunci con la keyword “avv. Mario Rossi”, potrei farlo con un annuncio il cui titolo sia “Avv. Antonino Polimeni” ma non con un annuncio del tipo “Studio Legale”, generico alla percezione dell’utente che potrebbe facilmente immaginare che “Studio Legale” si riferisca all’avv. Mario Rossi che, in effetti, cercava.