La rimozione retroattiva degli audio dai contenuti di Instagram e Facebook costituisce un grave inadempimento contrattuale, nonchè una violazione dei principi su cui si basa il Regolamento UE 2020/1150. E come se non bastasse, la voce degli utenti è un dato personale e la cancellazione della stessa è un trattamento dati illegittimo.
Meta, con i suoi grandi palcoscenici virtuali di Facebook e Instagram, e la SIAE, custode delle melodie di tanti autori italiani e stranieri, si sono smarriti in un labirinto di intese non condivise. Una mancanza di accordo che ha generato un’ondata di problemi per i creatori e coloro che, con passione e dedizione, utilizzano i social media per far fiorire i propri affari. Da giovedì notte, molti contenuti multimediali, come post, Stories e Reel, hanno perso i loro rumori, le melodie che li accompagnavano, e persino l’audio parlato (se accompagnato dalle canzoni in sottofondo), a causa del mancato rinnovo dell’accordo tra queste due entità.
Questa situazione ha colpito principalmente i creatori, impedendo loro di utilizzare le canzoni protette da copyright e colpendo la qualità dei contenuti di chi ha investito tempo e risorse nella creazione di opere e feed di valore. Ma al di là di ciò, sorgono domande che toccano i confini della legalità e della salvaguardia dei diritti, in quanto l’audio parlato è un dato personale, una perla preziosa custodita dalle leggi sulla privacy.
Meta nei suoi termini e condizioni non aveva mai previsto l’oscuramento di contenuti che, al momento della pubblicazione, rispettavano fedelmente gli standard della community. Eppure, la decisione di cancellare retroattivamente l’audio dai contenuti già pubblicati sembra un passo oltre, che esula dalle regole della piattaforma.
Il mancato accordo tra Meta e SIAE non può giustificare un vero e proprio inadempimento contrattuale nei confronti degli utenti, quegli attori che recitano sul palcoscenico dei social media per raggiungere nuovi orizzonti comunicativi e di libera espressione del pensiero, nonché per promuovere i propri affari. La rimozione dell’audio, compreso quello parlato, potrebbe dunque essere un’azione che viola i diritti di chi si affida a questi strumenti.
È importante ricordare che l’audio parlato è un dato personale, una traccia unica e personale, la cui cancellazione è un gesto che rientra nella definizione di “trattamento” e quindi tutelato dalle leggi sulla privacy. Questo atto arbitrario e retroattivo potrebbe essere illegittimo e in violazione dei diritti degli utenti.
Inolte, a guardarci bene, l’azione di Meta potrebbe essere in contrasto con i principi del Regolamento europeo 2019/1150, un faro che guida chi utilizza le piattaforme online per raggiungere potenziali clienti. Questo regolamento stabilisce che le piattaforme devono offrire un trattamento equo e trasparente agli utenti commerciali, e la rimozione dell’audio potrebbe violare questa recente normativa.
In questo scenario, il mancato accordo tra Meta e SIAE ha creato un vero e proprio abisso che inghiotte i creatori e coloro che utilizzano i social media per il proprio business.
È fondamentale che questi due mondi, Meta e SIAE, trovino un ponte che li riunisca, per garantire la protezione dei diritti degli utenti e il rispetto delle normative vigenti, comprese le leggi sulla privacy e la salvaguardia dei dati personali. Nel frattempo, i creatori e gli utenti delle piattaforme Meta hanno il diritto di chiedere un trattamento equo, in armonia con le leggi e i regolamenti in vigore.
Ecco quindi che sorge la domanda: possono i creators portare Meta (e non la SIAE, a prescindere dalle responsabilità di quest’ultima) davanti ai tribunali della giustizia ordinaria? La risposta è prontissima: sì. Meta non ha alcun appiglio, né nel contratto né nelle leggi, per cancellare le creazioni degli utenti così improvvisamente, a causa di problemi con un suo fornitore.
Se un ristorante ha un accordo per la fornitura di bevande con un’azienda, poco importa se quest’ultima non riesce più a trovare un accordo con il produttore dei tappi in plastica e non può più fornire il prodotto per cui si è impegnata. Si tratta di un’inadempienza. Se poi, per assurdo, questa inadempienza si riflette anche sulla fornitura passata, non esiste una regola giuridica che possa giustificare e rendere lecito tutto ciò.